Ho passato un anno in preda ad un innamoramento folle.
Ve lo ricordate? Eravate qui con me, a leggere delle farfalle che mi regalava, di tutte le cose verdi di cui mi aveva circondato, dei coniglietti la mattina presto e dei tramonti mozzafiato con i quali mi coccolava prima che io andassi a letto.
Sono successe delle cose e delle persone, da allora, Verde Acqua, Reyn, Starbucks, Mr Gatto, e io mi sono dimenticata di lui. Ho fatto del mio meglio lungo la strada, sbattendo contro gli stipiti perché non c’era il sole, sguazzando nell’acqua bassa credendo di annegare e facendomi tanto, tanto male.
Oggi la Mezzana si è arrabbiata con me e ha detto di smettere di rispondere No problem quando mi chiede di fare qualcosa. Perché è chiaro che non è un problema perché è il suo lavoro darmi ordini e il mio obbedire.
Poi, siccome stasera c’erano degli eventi un po’ in tutti gli angoli del college mi ha lasciato a gestire la mensa, al comando di quattro lavoratori part time che escluso uno lavorano lì da molto più tempo di me e, come se non fosse abbastanza, a gestire la cena anche per la high table –che, ricordiamo, è la tavola alla quale siedono il preside, i professori e ogni altro ospite altolocato che dovesse capitare nei dintorni– –incluso, a quanto mi dicono, l’ambasciatore della Svezia– senza che io abbia passato più di un paio di giorni a farci pratica.
Me, che lavoro lì solo da tre mesi e che sono stata confermata full-time solo una settimana fa.
L’Universo era ovunque.
Era nel sorriso titubante della prima ospite della high table, nel cenno con il quale il part time più esperto ha risposto al mio So che posso fidarmi, negli occhi di John, il cuoco più gentile, che diceva Stai andando alla grande, respira.
Era nelle risate di Neil che diceva Ma sempre tu?, nei Come stai? sempre più numerosi degli studenti che mi salutano in cassa, nel volto largo e speciale di Anou che mi chiede Com’è il nuovo appartamento?
Era nella leggera brezza che soffiava attraverso le finestre della mensa, nel profumo di cipolla che impregnava l’aria, nel suono trascinante di Mika che, ancora una volta in turno con me, attaccava la canzone delle muse trasformando la cucina in un palco.
Era in tutti i passi di KPM, per il quale ogni scusa era buona per guardarmi o sorridermi.
Era negli occhi azzurri di Ben, più attaccabrighe che mai.
Era nella meravigliosa voce di Cat.
Ho preso la bicicletta, verso le otto, e ho lasciato che la brezza di Oxford nord mi riempisse la maglietta. C’è qualcosa di meraviglioso nel tramonto inglese, il modo in cui tutto si copre d’oro, la nitidezza quasi dolorosa di ogni dettaglio.
Ho fermato la bici, in cima alla salita, guardandomi intorno e nutrendomi del colore del cielo in fondo, tra gli alberi, quel delizioso pesca che è il colore più bello del mondo.
E lassù c’era l’Universo, con il naso sulla mia nuca, le braccia che mi stringevano, il suo profumo come una nuvola attorno a me.
– Finalmente sei tornata.