Chiodo

Molto tempo fa un amico mi ha chiesto di avere dei link a cose che ho scritto.

Lo stesso amico che, molto tempo prima, aveva detto con nonchalance Scrivimi una storia, facciamo una graphic novel.

Molto tempo fa spulciavo il blog in cerca di cose che avevo scritto. Sì, lo so che tutte le cose che sono sul blog le ho scritte io… intendo storie. Così le sue amiche possono capire come scrivo, decidere se mi vogliono.

Come Starbucks, quella volta: abbiamo deciso di tenerti.

nessun altro ha mai deciso di tenermi

Molto tempo fa inciampavo sul nome di Uno, nel 2017, molto prima che la sua importanza gli garantisse una tag tutta sua, e iniziavo a inseguirlo tra i post di Gennaio e Marzo, dove scrivevo c’è il mio amico Uno, barista di un altro Starbucks, una persona della quale, in una stringa temporale diversa, sono follemente innamorata e siamo solo io e Uno, che per carità è l’uomo dei sogni di ogni ragazza ma non lavoriamo mai insieme perché siamo gli unici baristi che in questo store sanno quello che fanno e quindi ci dividono sempre.

E ci trovavo Mr. Gatto.

Io ricordavo, vagamente, di essere stata in crisi nel 2017, di aver deciso di lasciare Oxford perché non mi fidavo più a vivere con me stessa. Tante cose sono successe da allora, il lavoro al college, questa casa, Uno –in ordine cronologico, non di importanza– altre amicizie, altre idee…

Avevo completamente rimosso Mr. Gatto.

Non tanto la persona in sé –che intravedo nei lineamenti di sconosciuti per strada, nella sagoma delle loro spalle, nel taglio dei loro capelli– ma come mi ha fatto sentire prima e come è sparito dopo.

Ho passato l’ultima ora a rileggere i post della prima metà del 2017 –un periodo in cui ancora scrivevo praticamente tutti i giorni– e il tempo è diventato una cosa relativa… la mia mente è ancora là, seduta a quel tavolo di Starbucks, guardando un ragazzo bellissimo e incredibilmente innamorato del suono della sua voce.

Nessuno mi ha mai detto –né mi dirà mai– le cose belle che mi ha detto lui. Per una volta qualcuno stava facendo qualcosa, e non solo reagendo alla mia ostinazione, come hanno fatto tutti i cazzo di uomini con cui sia mai stata. E poi è sparito.

E io mi chiedo, dopo tre anni –non ci credo che siano passati solo tre anni– dov’era quando io lo amavo così tanto.

Dov’eri
figlio di puttana
quando io
ti amavo
così tanto?

Due ore fa un amico mi ha chiesto di avere dei link a cose che ho scritto.

Scrivere questo post mi ha riportato nella linea temporale dalla quale provengo ma nel frattempo ho trascorso un’ora incastrata nell’ennesimo disastro del mio passato.

Una vita intera.

 

Mi ha fatto così tanto ridere pensare alla premura che ho avuto per lui mentre guardavo 13 reasons quando le sue azioni mi hanno portata così vicino al suicidio.

Così tanto che ho pianto.

Vorrei che qualcuno glielo dicesse, prima o poi: sei stato a tanto così dall’essere l’ultimo chiodo sulla bara di quella ragazza che ti sei lasciato alle spalle.

Send Help

E inizia anche Agosto.

Ciò significa che ben più della metà dell’anno è andata. Puff. Che abbiamo fatto noi della metà dell’anno appena trascorsa? L’abbiamo utilizzato bene? Siamo fieri dei nostri risultati?

La risposta, ovviamente, è no.

Abbiamo letto tanti libri? No, ne abbiamo letto giusto due, inquietanti da far schifo, perché siamo masochisti e ci piace star svegli la notte a rabbrividire ad ogni fruscio.

Siamo stati in qualche bel posto? No, e abitiamo in un seminterrato dove non c’è luce da ormai troppi mesi. Ci piacerebbe dire che assomigliamo un po’ a Gollum ma la verità è che ci piacerebbe assomigliare a Gollum mentre invece abbiamo finito per assomigliare a Bombur.

ecco da dove viene questo schifosissimo plurale majestatis! Abbiamo passato così tanto tempo da soli che dentro di noi siamo diventati proprio Gollum!

Abbiamo scritto? No, col mazzo che abbiamo scritto. Abbiamo scritto due cose degne di nota, in questi otto mesi:

  • un incipit con il quale sto cercando di entrare in un corso di scrittura –i posti erano esauriti perché io deficiente aspetto l’ultimo momento per iscrivermi– e che attualmente si trova su FB sulla pagina Scrittori Pigri
  • un messaggino a lei, giovedì scorso, rimasto rigorosamente visualizzato e senza risposta. I più dicono che no, non ci sarà nessuna risposta. Siamo fieri di aver avuto le palle per mandarlo in ogni caso. Noi abbiamo fatto del nostro meglio…

Abbiamo, pensandoci, anche scritto una dozzina di letterine con cui mandare Uno all’estero… quel genere di letterina tipo apri quando sei triste, apri quando hai dubbi su di noi, apri se hai deciso di non tornare, apri quando ti sei dimenticato quanto ti amo… il genere di misure speciali adatte a una relazione a distanza…

per chi si fosse perso le ultime puntate al momento Uno è in Spagna dai suoi da quattro settimane… e ce lo restituiranno forse tra altre cinque, quarantena compresa. Ecco perché siamo così amabili e di buon umore

Non è facile. Cioè, lo sapevamo che non sarebbe stato facile ma è anche meno facile di quanto ci aspettavamo. Quando si vive insieme è troppo facile abituarsi alla percentuale d’amore che c’è nell’aria: se Uno mi guarda io mi sento amata. Se mi sfiora una mano mi sento bene. Se mi bacia la testa so che sono al sicuro.

Ma Uno non sta facendo nessuna di queste cose, neanche wireless, e la percentuale d’amore che c’è al momento nel terribile seminterrato è bassa bassa bassa. Mi sento un po’ come una piantina senza sole e noto cambiamenti molto più profondi di quanto mi aspettassi: ho meno autostima, mi metto in dubbio per tantissime cose, non ho pazienza di far niente e sono lagnosissima.

come potete notare

Son giorni un po’ così, giorni in cui cerco di tenere in aria tutte le cose insieme –relazione, tentativo di dieta, creatività, lavoro, umore, salute– quando in realtà vorrei solo nascondermi sotto la mia coperta.

Che è finita, by the way, che è bellissima e la amo follemente e la sto usando perché, a tradimento, il terribile seminterrato è così ben isolato che la notte fa freddo.

Send Help.

Arto Fantasma

Il 15 aprile 2011 usciva Basta Così.

Basta Così è una canzone straziante e bellissima dei Negramaro, straziante tipo fammi vedere come si muore senza nessuno che viva di noi, bellissima tipo e tu baciami qui, qui
che l’ultimo sia e poi che senso avrà, tanto basta così.

Testo e data la rendevano la colonna sonora perfetta di un dolore che non si è mai spento, quell’amputazione violentissima che mi ha lasciata metà di un muffin mai lievitato, ombra di quella che potevo essere.

E si sa come funziona con gli odori e le canzoni… hanno il potere di riportarti proprio lì, dove fa più male, dannate macchine del tempo con un sadico plot twist.

Stamattina mi sono svegliata con Basta Così avvolta attorno al cervello, come un panno troppo pesante, che ti impedisce di respirare. In loop nelle orecchie, senza chance di fermarla, ancora e ancora.

Tanto basta così, così, scendiamo qui, qui,
che senza di noi c’è la libertà,
si ma basta così, così, fermiamoci qui.

Vorrei che qualcuno scoperchiasse la mia mente, ci desse un’occhiata, spostasse i filamenti di Langerans –che poi tra l’altro a me nemmeno piacciono– e dicesse ah sì, è questo il tuo problema, c’è una falena morta proprio qui ed è per questo che ti svegli con queste canzoni in mente. O che, come si fa con i computer, svitasse uno o due pannelli, spolverasse via un attimo un po’ di polvere e mi permettesse di dimenticarmi certe voci.

Una riparazione, insomma. Che non esiste che, a distanza di nove anni, io riesca a svegliarmi ancora .

Ridere, sarò sorpreso poi a vederti ridere
senza il bisogno poi di dover decidere per chi, se non per me
e allora sarà facile tagliare l’aria se non lo si farà in due.

La spiegazione più semplice è che ci sia ancora, in qualche punto dentro di me, un baule di cose non dette, una bomba a orologeria non troppo felice di essere ignorata, un contenitore che rilascia un po’ alla volta un qualche genere di fumo tossico che, sulla lunga distanza, comprometterà tutto il resto, Langerans compresi.

Dovrei seguire i miei stessi consigli, quelli che includono sempre un foglio, una penna e almeno un pomeriggio di brainstorming. L’ho detto così bene, l’altra sera: man mano che elenchi le cose sulla carta non fai altro che sollevarle, così da poter vedere bene quello che c’è sotto. Perché c’è sempre qualcos’altro sotto che non riesci a identificare.

Perché spesso le cose che affollano la nostra mente non hanno una forma, hanno solo un brutto odore, o fanno un rumore tremendo, o prendono così tanto spazio da non permetterti, nel mio caso, di dormire.

Vorrei quasi dire che è patetico che io non riesca a dormire dopo nove anni di cammino nella direzione opposta. Dopo un anno e mezzo di Uno –che dorme accanto a me, che fa sempre e comunque del suo meglio, che dopo il mio compleanno passerà in Spagna un paio di mesi– e dopo essere inciampata e caduta così tante volte che ci si aspetta io abbia in mente altri dolori, non questo.

Ma inciampare è una cosa e farsi amputare un arto è un’altra. Nessuno ha mai detto che male che mi sono fatto quella volta che sono inciampato, mi fa male solo a ripensarci. Quando penso alle volte che sono inciampata… beh, il pensiero un po’ mi imbarazza, giusto al punto da farmi ridacchiare per la piccola me che ero quando mi sono innamorata del Principe degli Idioti, o quando ho creduto a Rain la seconda volta.

Un arto fantasma è una cosa diversa.

Un arto fantasma ti lascia pieno di domande, di dubbi. Un arto fantasma ti soffoca sotto il peso delle cose che non puoi più fare da quando l’hai perso. Un arto fantasma ti riempie la bocca dell’amarezza di non essere più intero.

E quando l’arto fantasma ha un nome la cosa più difficile è non allungare gli arti che ti sono rimasti in cerca di risposte.

Lettere d’amore

Perché sempre di lettere d’amore si tratta.

Ne ho appena scritta una in un mormorio bassissimo, un sospiro, un sussurro. Mi chiedo se chi le legge lo percepisce, quell’amore. Una volta Verde Acqua mi ha definita la faccia più trasparente del West, alludendo a come, nei primi giorni che uscivamo insieme, si leggesse chiaramente in tutto quello che facevo il sentimento che stava nascendo per lui.

Allora come mai Uno non ha mai capito, in tutti questi anni, che mi piaceva?

A me dispiace molto, per Uno. Ha detto una cosa, l’altra sera, che mi ha fatto perdere l’equilibrio in modo così disastroso che non credo di averlo ancora recuperato. Ho dovuto fermarlo e dirgli ma io tengo a te. Tu potresti sparire di nuovo. E poi sono stata assalita dalla sensazione, orribile, di essere stata invisibile fino a cinque minuti prima.

L’ho scritto anche su Facebook, in mezzo alle cretinate che Cì mi ha detto al telefono: fino a cinque minuti fa io ero di cartongesso.

Dov’ero, quando non riuscivi a vedermi? Dov’eri quando la mia voce diceva mandatemelo perché mi piace lavorare con lui? Dove guardavi quando lasciavo della cioccolata in modo che ce ne fosse per quando venivi e io non c’ero?

sospira

Da dove ti arrivano certe idee?

L’Uomo delle Carte –che mi ha mandato un libro di nuovo– me lo ha chiesto, l’altro giorno, in una nota vocale che mi ha fatto scoppiare a piangere. Sarebbe bello che l’Uomo delle Carte non leggesse il mio blog ma nel caso lo legga lo dirò lo stesso, perché amo vivere pericolosamente: la sua voce ha mani che volano oltre la Manica, labbra che tingono di luce le sue parole, la voce dell’Uomo delle Carte è così piena di colore da far girare la testa.

L’Uomo delle Carte non li ha visti passare. Non ha ascoltato le parole affilate del Re degli Imbecilli, non ha visto gli occhi dello Spaventapasseri cercare altrove, non conosce le bugie di Reyn. Non ha in mano la lista delle mie lettere d’amore, non ha l’elenco degli infiniti gesti invisibili che le mie mani hanno compiuto, non ha mai ascoltato l’eco dei miei sentimenti che si infrangevano sul pavimento del cuore altrui.

L’Uomo delle Carte mi ha mandato un libro con una frase di sostegno.

Sono corsa a piangere da lui, l’altra sera, con una distesa infinita di cose che mi sgorgavano dalla bocca. Ho esitato, sulla sua soglia, e ne ho raccolta solo una, ignorando tutte le altre che mi inseguivano.

La verità è che mi ha aperto la porta nel cuore della notte così tante volte da viziarmi schifosamente e io ho un terrore così profondo di perdere anche lui che è come un cappio, che mi trascina indietro se mi ci avvicino troppo.

Per questo ho scritto una lettera d’amore, stasera, su un foglio bianco con il quale ho fatto un aeroplanino e l’ho fatta volare via.

Sogni di Drago

Avevo un uovo, fino a ieri notte.

Avere un uovo è una cosa speciale, te ne prendi cura e non sai veramente cosa possa uscirci finché non si schiude. Potrebbe essere un’anatra, un’oca, un pappagallino, un ornitorinco –ebbene sì– uno squalo –ebbene sì– oppure, nel mio caso, un drago.

Io ero certa che fosse un drago.

Forse era la dimensione dell’uovo, forse era il calore che sprigionava, la forma un po’ particolare, non lo so. Ero certissima che fosse un drago! Del resto anche la persona che me lo aveva dato non era una persona qualunque e aveva accompagnato il dono con indizi rivelatori…

Io, che sogno draghi in ogni caso, avevo iniziato a non sognare altro. Saprà volare e portarmi con sé? Avrà scaglie verdi e occhi dorati? Combatterà fieramente i cavalieri che tenteranno di attaccarci? Avrà un soffio infuocato o piuttosto un bacio in grado di ammaliare anche il più crudele dei re?

giuro, questa ho tentato di riscriverla ma esce da così a peggio quindi tenetevela

Mi conoscete e sapete che mi sono divertita immensamente a pensare al mio drago, a coccolarmelo un sogno dopo l’altro, a portarmi l’uovo ovunque, chiacchierarci e dipingerci sopra cose carine con gli acquerelli.

Finché quella persona non ha preso in mano l’uovo, ci ha bussato sopra e mi ha chiesto se stavo veramente pensando che ne sarebbe uscito un drago.

E’ stato orribile.

Avrei dovuto scuotere la testa, mentire, ridere e chiedere come ti è venuto in mente che io potessi volere un drago? Io con questo uovo ci sto solo giocando.

Avrei potuto farlo e avrei ucciso il drago. Non ricordo niente della mia risposta ma sono certa che si trattasse di parole piccolissime, ridicole e flebili. Avrei potuto fare di meglio in così tante cose… invece ho teso le mani verso quella persona, per riavere il mio uovo, e lo sguardo con cui mi è stato restituito era così colmo di imbarazzo da ridurmi in cenere.

Sono venuta qui a piangere perché non c’era nessun altro luogo dove farlo. Qualunque cosa ci fosse in quell’uovo è morta nel momento in cui quella persona ci ha bussato sopra.

Ma si sveglierà…

Mi hanno detto che non è un bel mese.

Lo sto sentendo tutto.

Problema numero uno: sono sveglia da 14 ore, ho all’attivo 8 ore di lavoro e almeno 5 di cosa vogliamo fare della nostra vita?

E’ quella sensazione quasi onirica di quando ti si frigge il cervello per la febbre e tu vorresti dormire e invece ti vengono in mente solo cose.

Che è un brillante eufemismo per dire che mi viene in mente solo lei.

Nel mio lettino fresco, abbracciata al cuscino, i miei peluche sotto il collo, mi veniva in mente lei. Mi veniva in mente di scriverle una lettera –oh, la mia scrittura– e mandarla dove abitava una volta –in quel terribile terribile posto– sperando che sua madre non capisca che dietro quell’indirizzo scritto con mani tremanti ci sono io.

Quell’arpia.

Un giorno, quando ancora ero in Italia e lavoravo come cassiera,mi è passata davanti sua nonna, persona adorabile che conoscevo bene, e sorridendo ha detto forse non ti ricordi di me.

Le lacrime che non ho pianto quella sera, dall’istante in cui l’ho scorta in coda con la spesa fino al momento in cui le mie amiche sono venute a salvarmi.

E quell’arpia che sapeva e non ha pensato nemmeno un attimo di dirtelo.

Una lettera, per dire guarda dove sono arrivata, quando ogni singola parola grida non vuoi venire con me?

Chi voglio imbrogliare?

C’è una febbre rovente dentro di me, stasera, mi brucia gli occhi e le guance in quel modo assurdo che insiste da una settimana a questa parte, e io sono qui con mezzo cervello a chiedermi dove sei, se ad una settimana dal tuo compleanno ci pensi, ogni tanto, a dieci anni fa, quando ti ho riempito le braccia di regali perché eri maggiorenne e io ti amavo da impazzire e non mi sembrava vero di farti un regalo per ogni anno che compivi.

Io dovevo dormire, oggi pomeriggio, dormire qualche ora e poi stare sveglia tutta la notte, guardando The Hobbit per sette ore di fila e trascorrere dormendo tutto lunedì, perché domani faccio la notte.

Sono terrorizzata all’idea di fare la notte.

E’ quel terrore cretino che si ha delle cose che non si conoscono, il terrore in cima allo scivolo alto, un minuto prima di buttarsi senza pensare e scoprire la cosa più divertente del mondo. Il terrore della prima volta, quello che so per certo che mi passerà in un attimo appena scoccheranno le otto di martedì mattina e io sarò libera di tornare a casa a dormire.

O no.

pausa in cui scendo quattro rampe di scale per andarmi a prendere la bottiglietta di cherry cola che ho comprato per stare sveglia

Non sono brava a dormire fino a tardi.

Non ricordo quante volte sono rimasta sveglia tutta la notte a Capodanno –forse perché non è mai successo. Non sono sicura– ma non ricordo una sola notte sveglia. E non stiamo parlando del resta sveglia il minimo sufficiente per guardare un film, parliamo del resta sveglia che se ti arriva uno studente con un attacco cardiaco in corso devi salvarlo tu.

sospira

La mia coinquilina ha di nuovo il suo ragazzo per casa.

Significa che la sera cucinano un sacco, lasciano la cucina un casino, passano tutto il loro tempo uno addosso all’altra e, nonostante abitino due stanze –perché il materasso della sua stanza, che andava benissimo il primo mese, adesso che ci dorme con lui non va più bene, quindi si è trasferita nella stanza della mia padrona di casa mentre è all’estero– lasciano la loro roba ovunque.

E non parlo di un cappotto, un cellulare, un libro dimenticato sul divano.

Parlo di tazze da tè mezze bevute lasciate sui tavolini di tutto il piano terra.

Parlo di spazzole, asciugacapelli e beauty del trucco, abbandonati in soggiorno da venerdì.

Parlo di un allegro set di indumenti sporchi abbandonati sul divano per quasi tutta una settimana.

pausa nella quale tento di capire perché ho iniziato questo post

Se non si stessero sempre addosso.

Se non li beccassi sempre mezzi nudi sul divano.

Se non mi strofinassero sul naso costantemente il loro essere tutt’uno.

Passerà anche questa, si sveglierà il tuo cuore in un giorno d’estate rovente in cui sole sarà.

dio quante lacrime piante dietro a questa canzone l’anno in cui non sei mai tornata

Tornerà l’abbraccio dell’Universo, arriverà la luce della prossima ephiphany, era tutto per arrivare a questo.

Mi sveglierò martedì sera e ancora una volta camminerò attraverso il centro di Oxford, a testa alta, sorridendo perché sono il nuovo portiere notturno del Trinity.

Ne sono certa.

 

…ma intanto il mio terrore mi sta mangiando viva perché tu non sei qui ad ascoltarmi.

 

Alla volta in cui mi hai detto no
Non ti lascerò mai 

Intervallo!

Questa me la dovete spiegare.

Mi assento un paio di giorni e improvvisamente le visite al blog salgono alle stelle? Secondo le statistiche di wordpress la giornata di domenica ha avuto un picco di ben 98 visualizzazioni, cosa che non mi spiego affatto perché quel giorno non ho pubblicato assolutamente niente.

A ben vedere oggi fa quattro giorni che non pubblico assolutamente niente.

Potrebbe avere a che fare con il fatto che parlo almeno un’ora e mezza al giorno con Charmé e che quindi quella voce interna che ho sempre sentito –se qualcuno non ha niente di meglio da fare potrebbe andare da lei e dirle che per sei anni, sei anni io ho parlato ogni giorno con lei per dirle quello che avevo dentro? No, per dire…– si è fatta meno insistente… o semplicemente di recente il lavoro e le altre faccende prendono così tanto del mio tempo che davvero, poi quando ho un attimo libero mi passa la voglia di sedermi alla scrivania.

In questi quattro giorni non è successo poi granché.

Siamo stati pagati per la seconda volta, una discreta sommetta che mi ha permesso di togliermi un paio di sfizi e mettere una volta per tutte la parola fine alle ristrettezze economiche di qualche tempo fa… la dining hall del college, ambita meta di tutti i nostri turisti, ha finalmente riaperto dopo un’intera stagione di chiusura mentre l’ampio cancello principale oggi ha deciso di smettere di rispondere ai comandi, rendendo la gestione delle cose un po’ complicata… e finalmente la settimana di chiusura che il college fa ogni anno per fare manutenzione è finita anch’essa, così oggi siamo tornati a pranzare in compagnia e a non essere più gli unici umani nel college.

Io sono giunta alla conclusione che se non vado immediatamente dal dottore potrei dover ordinare delle gambe nuove… oggi sono andata in cerca di un accappatoio –concetto a quanto pare del tutto alieno a questo Paese– perché con 13 gradi non mi sembra il caso di usare solo un telo mare e quando sono tornata a casa mi facevano così male i piedi che avevo voglia di piangere.

Per il resto mi sono inaspettatamente ritrovata a pensare parecchio a quella storia che volevo scrivere qualche tempo fa, quella storia d’amore a cavallo tra il nostro tempo e la fondazione del mio vecchio college, e ho pensato che appena finisco il progetto a puntate che sto facendo adesso –che dovrei star scrivendo in questo preciso istante invece di postare– mi ci butterò a pesce.

Detto questo credo che anche oggi cercherò di andare a letto prestino e domani… sì, va bene, cercherò di postare anche domani!

Di libri memoria e sogni

Qualche ora fa una ragazza è venuta a vedere la stanza, è salita sulla scala fin sotto il tetto, ha deciso che le piace e si è accordata per trasferircisi tra una decina di giorni.

Un’altra questione risolta ma non posso nascondere che, nonostante la casa dove mi trasferirò sia infinitamente meglio di quella in cui vivo adesso, mi mancherà questa camera. Forse non mi mancheranno gli orribili mobili, o l’orribile temperatura, o questa sedia scomodissima e la finestra che divento sempre scema a chiudere, ma il mio letto nella tana in cima alla scala sì.

Un po’.

Stanotte ho sognato lei.

Nell’Universo ideale in cui non abito le è successo qualcosa, un’ephiphany, una rivelazione celestiale, e stasera in un impeto di nostalgia tornerà a leggere il mio blog –una volta lo faceva, diceva che quasi faceva male per quanto di mio c’era dentro– e leggere che stanotte l’ho sognata la farà intenerire di brutto.

Io non avevo nessuna ragione di sognarla: ho passato la serata di ieri pensando a come la mia vita sia low key felice, con un lavoro che mi piace, persone con cui vado d’accordo, una bella casa e tutto sommato delle ottime prospettive. Eppure è successo e sospetto fortemente che sia per qualcosa che lei ha provato o fatto. Anche perché si trattava di un sogno felice, in cui io avevo una casettina in cima ad una scogliera e lei piantava una scena per dire che non era convinta eccetera… facevamo entrambe parte di un gruppo di personaggi con poteri speciali e ognuno di loro traeva potere da un elemento diverso. Lei continuava ad essere scettica finché qualcuno non le faceva notare che l’elemento dal quale io traevo potere era lei. A quel punto vivevamo per sempre felici e contente.

Tuttavia non è questo il motivo per cui mi sono seduta al pc a questo orario un po’ random.

Qualche tempo fa ho parlato di un evento che coinvolgeva Becky Albertazzi, un incontro a Londra per la presentazione di un libro scritto a quattro mani da lei e da un certo Adam Silvera, autore del quale non avevo mai sentito parlare.

Dopo aver letto tutti i libri di lei ho pensato che per correttezza avrei dovuto leggere anche i libri di lui, che per adesso sono solo tre. Ebbene, ho appena finito il primo, More happy than not, e sono ancora incastrata in quei postumi che ti restano addosso dopo aver letto un grande libri.

Non so come tradurre il titolo, forse qualcosa come Più felice che no. La vita del protagonista, Aaron, è molto difficile: viene da una famiglia poverissima e suo padre si è appena suicidato, evento che ha portato lui stesso a tentare il suicidio. Al fianco di Aaron c’è Genevieve, la sua ragazza, ma quando la ragazza si allontana per un campeggio artistico Aaron fa amicizia con Thomas, con il quale instaura un rapporto profondo e complesso e che lo porterà a farsi dolorose domande sul proprio passato.

Un modo per superare questo dolore potrebbe essere ricorrere a Leteo, una procedura molto costosa che cancella la memoria in maniera selettiva, ma si tratta di una scelta altrettanto complessa che potrebbe avere serie ripercussioni su Aaron e le persone che gli stanno intorno.

Non posso veramente dire di più a proposito di questo libro se non che mi ha molto colpita, più di quanto mi aspettassi. Ha una scrittura cruda, buia, molto lontana dal bellissimo libro dell’Albertalli che ho letto la settimana scorsa… ma mi è stato altrettanto caro, vuoi perché affronta lo stesso tema del mio Seareen vuoi perché anche io ho avuto gli stessi problemi del protagonista.

Alla fine non ho potuto fare a meno di pensare che mi piacerebbe comprare anche questo oltre a The upside of unrequited, che mi era piaciuto infinitamente, e farmeli autografare entrambi… ma la strada fino a Ottobre è ancora lunga e non oso pensare a cosa mi riserveranno gli altri due libri di Silvera, dato che a quanto pare l’intero internet giura che la fine di uno dei due sia una cosa da piangersi via gli occhi.

Comunque oggi ero a casa da lavoro e com’era da aspettarselo non ho fatto niente di niente. A momenti mi infilerò in doccia per prepararmi per la cena speciale di stasera –a quanto pare una cena dedicata esclusivamente a noi portieri– alla quale non so ancora come vestirmi.

Stay Tuned.

 

In Frantumi

Ho provato a scrivere questo post tre volte, in tre momenti diversi.

Il primo si chiamava Razzismo e parlava della tremenda e divertentissima serata che ho passato chiacchierando con il mio padrone di casa e il suo amico italiano. Ci si aspetterebbe che la complicità fosse tra me e l’amico italiano, ai danni magari del mio padrone di casa, invece siamo stati io e quest’ultimo a discutere in un inglese così fitto che lui non ci seguiva nemmeno. Il razzismo stava nel fatto che l’amico italiano ha detto cose irripetibili che mi hanno quasi fatto venir voglia di schiaffeggiarlo, e volevo sfogarmi qui.

Il secondo si chiamava Frammenti, ed era una collezione di cose che mi frullano in testa, sorrisi di persone, dolori, preoccupazioni, cose che invece si incastrano con somma delizia.

E poi è uscito In frantumi.

Ho visto Mamma Mia 2. Sarò spietata con gli spoiler quindi dovete fermarvi qui se non ne volete.

Il seguito di uno dei film preferiti della mamma. Un film in cui il vuoto lasciato da Donna non può essere riempito dagli innumerevoli e meravigliosi flashback della sua storia. Ho seguito le sue avventure con estrema delizia, gustandoli quasi più delle scene che parlavano della storia dei personaggi rimasti in vita.

Like an image passing by, my love, my life, in the mirror of your eyes, my love my life, I can see it all so clearly, all I love so dearly

Amanda Seyfried è meravigliosa. Le scene in cui canta con Meryl Streep sono dolorosamente toccanti e durante tutto il film i suoi movimenti e i modi di fare richiamavano quelli di Donna. Ho pianto tantissimo nella scena finale, ascoltandole cantare insieme, desiderando che il mio viso somigliasse di più a quello della mamma, chiedendomi se anche nel mio futuro c’è una camminata, lungo la navata di una chiesa, con un enorme buco nel cuore.

Postumi

Ero innamorata di un uomo, l’estate scorsa.

Aveva… dei polpacci formidabili, un volto largo con un bellissimo sorriso, una passione incomprensibile per il cibo piccante e una risata che amavo sentire dall’altra parte del pianerottolo.

La porta della sua stanza aveva un cigolio rivelatore che mi faceva scattare come una molla quando lo sentivo, prontissima a inventare qualunque scusa pur di apparire casualmente in cucina e parlare con lui.

Abbiamo imbastito le peggio conversazioni alle peggio ore del giorno, lui con in mano cibo a vari gradi di cottura, io con un bicchiere dal quale bevevo continuamente acqua nel tentativo di nascondere a tratti il mio imbarazzo a tratti l’estrema felicità che mi provocava vederlo e parlarci.

Ricordo che andare a cena insieme, quella sera, fu molto difficile, primo perché dovetti insistere per settimane e poi perché dopo, una volta scofanato dell’ottimo Phad Thai, camminare al suo fianco e convivere con quella parte della mia mente che voleva solo girarsi e baciarlo era così difficile che a volte mi fermavo, nel bel mezzo della conversazione, così emozionata da non riuscire nemmeno a respirare e certo non a ricordarmi cosa stavo dicendo.

Era brillante, divertente, autoironico ed estremamente gentile.

Se ne andò qualche mese dopo, vittima di un trasferimento a Newcastle, e io gli scrissi un paio di email alle quale promise di rispondere senza poi farlo mai. Per qualche tempo fu molto difficile abitare in quella casa, specie perché la porta che si apriva non era più la sua, poi il tempo portò altri problemi e io relegai quest’incresciosa faccenda in un angolo della mia mente.

C’è quel momento in cui smetti di essere innamorata, quella specie di digiuno in cui il tuo corpo si anestetizza a quel range di sensazioni: dimentichi cosa significa essere pazzo di qualcuno, dimentichi fortunatamente il dolore dell’essere rifiutato, il desiderio di avere qualcuno accanto e tutto quel che ne consegue. Ti lasci alle spalle il desiderio di farti trovare in camera sua, quelle piccole terribili idee che nascono quando sai che si sta facendo la doccia e via dicendo.

E poi succedono cose orribili come quelle di stanotte, in cui dopo almeno dieci mesi dall’ultima volta che avevo pensato a lui il suo viso ti appare in sogno –quel viso che non è bello di per sé ma è così bello ai tuoi occhi– e ci parli e sei felice che lui sia tornato, e poi vi sedete insieme in giardino e lui si avvicina sempre di più e dice cose come mi mancavi e finisce per baciarti e tu all’improvviso ricordi ogni cosa, dalla sensazione bellissima dell’essere amati all’indescrivibile effetto di due braccia che ti stringono per tenerti vicina, recuperi tutto quel calore che avevi dimenticato e inizi a brillare della luce di chi ha qualcuno che è tornato indietro per lei.

E poi ti svegli in preda a cose che tentare di descrivere sarebbe comunque inutile.

 

Nessuno è mai tornato indietro per me.

 

Ho passato i primi venti minuti della giornata a cercare di capire cosa, in nome del cielo, aveva scatenato il ricordo di quell’uomo. Ho chiesto all’Universo quale perversa ironia lo spingeva a risvegliare in me quel genere di sentimenti, specie adesso che ho già abbastanza cose per la testa e in un momento in cui per una volta certe cose ero riuscita a lasciarmele alle spalle.

Grazie.